Cambia la giurisprudenza in materia di malpractice sanitaria. Una sentenza dello scorso luglio del Tribunale di Milano, riguardante un caso di paralisi di corde vocali avvenuto nel 2008 al Policlinico di Milano e risarcito con 44mila euro, ha stabilito che ricade sul paziente l’onere di provare la colpa del medico, e che per agire in giudizio ci sono cinque anni di tempo e non più dieci. È questa per i giudici la conseguenza della legge Balduzzi che qualifica la responsabilità del medico ospedaliero come ‘extracontrattuale’ da fatto illecito (ex art. 2043 c.c.) sancendo, dunque, che l’obblil’obbligazione
risarcitoria del medico possa scaturire solo in presenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano (che il
danneggiato ha l’onere di provare).
Viene quindi meno sia la responsabilità contrattuale (articolo 1.128) del camice bianco, che si basava sulla teoria del
‘contatto sociale’, che quella dell’ospedale basata sull’idea di contratto obbligatorio atipico di ‘assistenza sanitaria’ perfezionabile già con la sola accettazione del malato in ospedale. “Tale inquadramento della responsabilità medica e il conseguente regime applicabile, unito all’evoluzione che nel corso degli anni si è avuta in tema di danni non patrimoniali risarcibili e all’accresciuta entità dei risarcimenti liquidati – si legge nella sentenza – ha indubitabilmente
comportato un aumento dei casi in cui è stato possibile ravvisare una responsabilità civile del medico ospedaliero
(chiamato direttamente a risarcire il danno sulla base del solo ‘contatto’ con il paziente se non riesce a provare di essere esente da responsabilità ex art. 1218 c.c.), una maggiore esposizione di tale categoria professionale al rischio di dover risarcire danni anche ingenti (con proporzionale aumento dei premi assicurativi) ed ha involontariamente finito per contribuire
all’esplosione del fenomeno della ‘medicina difensiva’ come reazione al proliferare delle azioni di responsabilità promosse contro i medici”.
Esattamente quei problemi che l’ex ministro della Salute, Renato Balduzzi, aveva provato a risolvere con il suo decreto legge. “Compito dell’interprete – si legge infatti nella sentenza – non è quello di svuotare di significato la previsione normativa, bensì di attribuire alla norma il senso che può avere in base al suo tenore letterale e all’intenzione del legislatore.
Nell’art. 3 comma 1 della legge Balduzzi il ParlamenParlamento Italiano, in sede di conversione del decreto e per perseguire le suddette finalità, ha voluto indubbiamente limitare la responsabilità degli esercenti una professione sanitaria ed alleggerire
la loro posizione processuale anche attraverso il richiamo all’art. 2043 c.c.”.
“Sembra dunque corretto – conclude il dispositivo – interpretare la norma nel senso che il legislatore
ha inteso fornire all’interprete una precisa indicazione nel senso che, al di fuori dei casi in cui il paziente sia legato al
professionista da un rapporto contrattuale, il criterio attributivo della responsabilità civile al medico (e agli altri esercenti una professione sanitaria) va individuato in quello della responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c., con tutto ciò che ne consegue sia in tema di riparto dell’onere della prova, sia di termine di prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno”.